Il progetto mira a documentare un fenomeno sociale che è legato indissolubilmente a quello dell’immigrazione in quanto fatto strutturale che lentamente modifica scenari linguistici, etnici, religiosi: i matrimoni misti. l’Istat, nello specifico, intende come coppie miste quelle formate da un cittadino italiano per nascita e un cittadino straniero o italiano per acquisizione. L’etichetta “coppia mista” è legata al concetto di differenza come costruzione culturale relativa ad un determinato contesto storico e sociale.

In tempi in cui l’immigrazione viene rappresentata come un fenomeno emergenziale piuttosto che come un’inevitabile evoluzione sociale, la diffusione della coppia mista rappresenta direttamente la capacità di inclusione piuttosto che di segregazione del processo migratorio da parte della cultura di accoglienza. Una delle indagini più recenti sul territorio nazionale in merito ai matrimoni misti è stata condotta dall’Istat su dati del 2018. In tale anno sono state celebrate 33.933 nozze con almeno uno sposo straniero, il 17,3% del totale dei matrimoni, una proporzione in leggero aumento rispetto all’anno precedente. Stando ai dati diffusi, i matrimoni misti ammontano a oltre 24 mila nel 2018 e rappresentano la parte più consistente dei matrimoni con almeno uno sposo straniero (70,5%). “La quota dei matrimoni con almeno uno sposo straniero – spiega l’Istat – è notoriamente più elevata nelle aree in cui è più stabile e radicato l’insediamento delle comunità straniere, cioè al Nord e al Centro. In questa parte del Paese quasi un matrimonio su quattro ha almeno uno sposo straniero, mentre al Sud e nelle Isole si registrano proporzioni inferiori al 10%”. Il Veneto è una delle regioni in cima alla classifica per numero di matrimoni misti, che rappresentano il 24% del totale. Nel 2018 i matrimoni con stranieri rappresentano il 30% del totale dei matrimoni celebrati a Padova. Il progetto è tutt’ora in corso, a partire dalla città di Padova, ed è stato realizzato durante la pandemia, nelle brevi pause tra un lock-down e l’altro.

Ho scelto di rappresentare le coppie attraverso il ritratto ambientato, in luoghi da loro individuati come affettivamente significativi. L’obiettivo ultimo è quello di mettere in discussione il concetto stesso di “mixité” mostrandone tutta l’artificiosità, rivendicando l’assoluta unicità di ogni essere umano e di ogni unione. Una buona parte della letteratura scientifica infatti si riferisce al concetto di “coppia mista” con intento critico, relativamente al carattere ideologico del concetto contrapposto a quello di una ipotetica coppia “non mista”.

Per Alberto Mascena, etnopsicologo presidente di Aifcom, l’associazione italiana di coppie e famiglie miste, “qualsiasi unione è già un incontro tra due persone diverse e far convivere in una relazione queste diversità è proprio la scommessa di qualsiasi coppia, non certo solo delle coppie miste” (1) . Mascena cita Bensimond e Lautman (1977) secondo i quali “Sono miste tutte le unioni coniugali concluse tra persone di nazionalità etnia e culture differenti se queste differenze provocano una reazione da parte dell’ambiente sociale”(2). La percezione della coppia mista è fortemente condizionata dagli stereotipi culturali veicolati da una visione etnocentrica che porta ad assimilare maggiormente significati e valori provenienti dal mondo occidentale in contrapposizione alle culture ad esso esterne. In poche parole, una coppia italo-americana, sebbene tecnicamente mista, non viene percepita come portatrice di sistemi di valori e significati differenti quanto una coppia marocchino-italiana. In realtà ogni persona è portatrice di sistemi di significati e valori provenienti dalla propria cultura di origine, arricchiti e modellati dalle interazioni e dalle esperienze effettuate nel proprio percorso vitale. Una coppia mista rappresenta, quindi, sempre secondo Mascena, “un micro-laboratorio sociale in cui sperimentare pratiche inter-culturali che sappiano generare nuovi modi di costruire le relazioni” e la sua diffusione rappresenta direttamente la capacità di inclusione piuttosto che di segregazione del processo migratorio da parte della cultura di accoglienza.

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foto credits @Mara Scampoli


Foto: Caterina Santinello

Mara Scampoli

Psicologa e fotografa, vive a Padova dove lavora nel campo della psicologia clinica e di comunità. Ha iniziato lo studio della fotografia come espressione personale e come strumento di ricerca nel campo delle relazioni umane.

Nel 2013 studia le basi della fotografia documentaria e dell’antropologia visuale presso IRFOSS di Padova, proseguendo poi il percorso formativo studiando con diversi autori nel campo del fotogiornalismo e della fotografia documentaria.

Nel 2020 ha completato il Master in fotografia documentaria con Davide Monteleone. Ha realizzato progetti nel campo dell’indagine sociale, con particolare attenzione al fenomeno migratorio in Italia e in Europa. Ha documentato insediamenti informali lungo le rotte migratorie in Europa, realizzando reportages a Calais, Atene e Padova. I suoi lavori sono stati pubblicati su diverse riviste online ed esposti in diverse rassegne e festival di fotografia.

Collabora con associazioni del territorio per la realizzazione di progetti di inchiesta sociale attraverso l’uso dello strumento fotografico. Il suo interesse è inoltre rivolto alla documentazione del paesaggio urbano ed alle trasformazioni del territorio nel rapporto tra uomo e ambiente. http://www.marascampoli.com/

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