Globalizzazione, migrazioni umane, crisi economiche. Parole come queste segnano un confine ampio e variegato entro il quale possiamo scorgere fenomeni nuovi che stanno radicalmente modificando la struttura delle società occidentali. Negli ultimi trent’anni il fenomeno migratorio ha rappresentato sicuramente un punto di svolta per l’Europa, e per l’Italia ha rappresentato un’occasione per sperimentarsi come terra di immigrazione e non solo come terra di emigrazione.

All’interno di tale quadro le coppie miste, rappresentano un oggetto di estremo interesse tanto per le scienze umane, quanto per l’opinione pubblica.

Con il termine misto ci si riferisce a quelle coppie in cui almeno uno dei due partner è di nazionalità diversa. L’Istat, nello specifico, intende come coppie miste quelle formate da un cittadino italiano per nascita e un cittadino straniero o italiano per acquisizione. Quanto detto rappresenta già una condizione diffusa e radicata in paesi come U.S.A., Inghilterra e Francia, cioè in quei paesi con una lunga tradizione di immigrazione (e colonizzazione).

D’altronde la definizione che è stata data di “coppia mista”, seppur necessaria a un inquadramento iniziale, presenta già alcune contraddizioni e limitazioni che caratterizzano tanto il senso comune quanto gli studi di settore. Infatti, nel termine misto sono riscontrabili tutta una serie di questioni legate al concetto di diversità e, appunto, di cultura intese come entità monolitiche, asettiche, stabili ed omogenee. In realtà, come suggerisce Benhabib, la cultura “non è un sistema compatto e uniforme bensì un orizzonte che si allontana ogni volta che ci si avvicina ad esso. Chi partecipa di una cultura sperimenta al contrario tradizioni, riti, storie, rituali e simboli, strumenti e condizioni materiali di vita attraverso resoconti narrativi condivisi, ma anche contestati e contestabili” (Bhenabib, 2002).

Il concetto di mixitè contiene già un’idea, se non un’ideologia, ambigua e fuorviante. Per assunto qualsiasi unione è già un incontro tra due persone diverse e far convivere in una relazione queste diversità è proprio la scommessa di qualsiasi coppia, non certo solo delle coppie miste.

Bensimond e Lautman (1977) danno una definizione di coppia mista che ci aiuta ridurre la complessità del fenomeno. Secondo gli autori: “Sono miste tutte le unioni coniugali concluse tra persone di nazionalità etnia e culture differenti se queste differenze provocano una reazione da parte dell’ambiente sociale”. Ampliando tale definizione, sicuramente molto interessante e precisa, potremmo includere che sono miste anche quelle unioni in cui le differenze tra i partner risultano importanti ai fini della comprensione della dinamica di coppia e se sono parte integrante del tipo di narrazione utilizzata dai partner nel raccontare la propria storia.

L’attenzione, dunque, si pone non tanto sul fenomeno in sé ma sulla percezione di “diversità” esperita innanzitutto dalla coppia stessa, ma anche da parte degli attori sociali, compresi gli studiosi, che interpretano le coppie miste come una novità.

Proprio al livello di “senso comune” scorgiamo alcune definizioni quanto mai stereotipate. Un cittadino italiano sposato con una donna norvegese andrebbe a configurare una coppia mista? A rigor di logica si in quanto entrambi i partner provengono da un sistema di significati, valori, esperienze molto diverse. Tuttavia tanto la ricerca scientifica quanto le chiacchiere da bar, configurano come coppia mista quel tipo di relazioni che riflettono la nota categorizzazione “West versus the Rest”, da una parte il mondo occidentale dall’altra tutto il resto. Un italiano ed una marocchina, dunque, rappresenterebbero un modello tipico di relazione mista (ignorando in questo caso anche l’esperienza storica che accomuna tutto il bacino mediterraneo con il Maghreb), ma difficilmente varrebbe la stessa cosa per una studentessa francese fidanzata con un ingegnere statunitense. Si ripropone, in chiave diversa, quella tendenza etno-centrica che tanto ha caratterizzato lo sguardo degli studiosi “occidentali” e che ancora oggi caratterizza molti dei contributi delle scienze psicologiche e sociali.

Risulta fondamentale rendere ogni scienza sociologica, e specialmente psicologica, capace di interpretare in modo chiaro l’aspetto “etno” (dal greco “έθνος”, razza-popolo) della questione. Le “etno-psicologie” (etno-psicologia, etno-psichiatria, etno-psicoanalisi, psicologia trans-culturale) hanno sottolineato il fatto che l’esperienza di ciascun individuo s’inscrive all’interno di diversi repertori narrativi offerti dalla cultura di riferimento, una sorta di “valigetta degli attrezzi” con cui costruire la propria esperienza.

Comprendere le coppie miste significa dunque far riferimento al sistema culturale di entrambi i partner sforzandosi di non cadere in vuote reificazioni. Cultura dunque come concetto non deterministico, che non definisce una volta per tutte gli individui ma che rappresenta una chiave di lettura che apre a nuove riflessioni. I significati presenti in una relazione di coppia, infatti, sono sempre “mutuati” dal sistema culturale cui fa riferimento ciascun partner. In una coppia mista l’impalcatura relazionale risulta essere “creolizzata”, nel senso che all’interno convergono modi di esperire la relazione di coppia e la realtà familiare che appartengono a due universi culturali diversi. A questo punto bisognerebbe chiedersi: come gestire queste differenze?

L’armonia di coppia si costruisce quando ciascuno mette nella condizione l’altro di sentirsi “rappresentato” all’interno della relazione. Nella dinamica di coppia dovrebbero trovare spazio gli universi personali e culturali di entrambi i partner, seguendo una logica comprensiva (“e…e”) e non una logica esclusiva (“o…o”). Ciò permette di costruire una relazione “interculturale” che fa tesoro delle reciproche differenze. Una coppia mista rappresenta, dunque, un micro-laboratorio sociale in cui sperimentare pratiche inter-culturali che sappiano generare nuovi modi di costruire le relazioni.

Concludendo, la sfida più grande per le coppie miste è trovare un modo per coniugare le reciproche differenze ad un livello di complessità maggiore: appunto il livello culturale. D’altro canto, come ci ricorda Todd (1994): “Il tasso di esogamia, la proporzione di matrimoni realizzati dagli immigrati, dai loro figli o dai loro nipoti con dei membri della società di accoglienza, è l’indicatore antropologico ultimo di assimilazione o di segregazione. In tal modo si oppone la verità delle relazioni a quella degli indicatori politici e ideologici”. L’auspicio, dunque, è quello di maturare una sensibilità differente, una sensibilità che garantisca l’inizio di una nuova stagione di studi e riflessioni che sappia realmente rendere conto dei cambiamenti nel modo di vivere le relazioni, cambiamenti che sono la diretta conseguenza delle migrazioni umane.

 

Bibliografia essenziale

  • Andolfi M. (a cura di) ( 2004 ), “Famiglie immigrate e psicoterapia trans-culturale”. “Franco Angeli”, Milano.
  • Andolfi, M., Mascellani, A., Santona, A., (2011), “Il ciclo vitale delle coppie miste. Un’altalena tra culture. “Franco Angeli”, Milano.
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  • Gennari, M., Di Nuovo, S., (2011) “L’incontro con l’altro: migrazioni e culture familiari. Strumenti per il lavoro psicologico. “Franco Angeli”, Milano.
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